venerdì, marzo 17, 2023

Inaugurazione Mostra "Naturalismi - Parte Terza" alla MEB di Borgomanero


Gli elementi naturali da sempre sono stati un termine di confronto e di paragone imprescindibile per l’uomo: la Natura, fonte di vita e di morte, è stata percepita come un’entità cui riferirsi non solo per il proprio sostentamento essenziale, ma anche per avere risposte alle sue domande trascendentali. Da una parte era il contesto da cui prelevare quanto necessario alle esigenze della propria vita, dall’altra è subito diventato specchio della trasfigurazione del divino e dello spirituale da interpellare in risposta ai misteri universali. In questa prospettiva non stupisce che sia stata il primo referente delle più antiche e primordiali rappresentazioni artistiche: l’essere dentro e parte di un micro-macro cosmo ha dato una precisa consapevolezza all’uomo che ha scelto proprio di iniziare a riprodurre e raccontare quelle presenze naturali che facevano parte dell’orizzonte della sua quotidianità esperienziale.

A diverso titolo e secondo i differenti accenti culturali, la Natura è stata parte importante della riproduzione artistica e ha svolto un ruolo chiave in quei passaggi e in quelle evoluzioni che, in certa misura, hanno mutato il corso della nostra storia estetico-culturale: la luce di Caravaggio, le carni di Rembrandt, le nuvole di Constable, i precipizi di Friederich, le montagna di Sainte-Victoire di Cézanne, le ninfee di Monet, l’en plein air impressionista, i fiori di Van Gogh, gli alberi di Mondrian, i paesaggi mediterranei di Klee, le pietre di Long, le rose di Gina Pane, i cieli di Turrell, gli elementi di Goldsworthy, etc…

Sono solo alcuni esempi in ordine sparso di un modo specifico, non retorico, di utilizzare la Natura per definire il campo largo di un racconto che è capace di andare ben oltre il limite dello sguardo. La ricerca dei naturalia qui è fondato su un’esperienza che vuole allargare il campo per ogni possibile significazione diversa da quella iniziale e vuole spaziare in un altrove che è parte di quel principio di trasfigurazione – emotiva, empatia, fisica, immaginativa – che passa, così, il proprio testimone dall’artista all’osservatore. Molti artisti, quindi, ci permettono di non limitarci alla retorica del rappresentato, perché attraverso le loro opere si impegnano fin da subito a fornire elementi per rappresentare. Ciò che viene colto da taluni lavori è un qualcosa che si modifica nell’essenza poiché è vivo e muta, in questo modo intercetta inedite risonanze in chi non vede in essi solo un’immagine, ma coglie il senso profondo di improbabili altre energie che affiorano dall’animo e si aprono a convergenze dialoganti con gli orientamenti che si determinano di volta in volta.

Sembra aver ben compreso questa forza primaria legata al tema naturale Alberto De Braud che ha voluto, nel nuovo capitolo del progetto Naturalismi che è stato avviato dal 2018, riunire in un reciproco confrontarsi su queste tematiche, lasciate sempre aperte e mai definite del tutto, una nuova compagine di interpreti i quali, oltre allo stesso De Braud, vendono protagonisti Stefano Arienti, Giovanni Frangi, Marc Vincent Kalinka, Camilla Marinoni, Luca Pancrazzi e Paola Pezzi. Questi artisti, attraverso tecniche e linguaggi diversi e con un lessico da ciascuno letto secondo una specificità personale, da sempre hanno indirizzato il proprio sguardo alla rielaborazione, in modo processuale e manipolativo, di materie e materiali, anche non necessariamente artistici, per determinare una sorta di adattamento sensibile e visionario degli aspetti della fisicità fino a portarli all’estrazione di essenze valoriali che non possono fare a meno di passare attraverso la singola(re) ri-appropriazione ultima agita e permessa dallo spettatore. Le loro opere sono gesti di cura verso un’osservazione che stimola e favorisce la nostra intuizione e restituisce un’interrogazione nell’essere risposta per memoria e ricordi individuali. Non Natura, ma Nature, non Naturalismo, ma, appunto, Naturalismi attraverso dialoghi circostanziati sull’universalità cui tutti apparteniamo e cui prendiamo parte con il nostro esserci. Il confronto tra autori, opere e osservatori sulle concessioni di idee differenti è nutrimento per l’immaginazione, sempre però tenendo uno stretto contatto e una serrata relazione con l’attualità: i princìpi derivanti da questo agire intellettuale non possono prescindere mai, per tutti loro, dall’essere vincolati alle necessità del presente della nostra collettività umana.

Le intenzioni di offrire spunti ampi di riflessione, con un taglio politico, sociale, economico, ecologico, non sono mai affrontate in modo dogmatico, anzi la libertà di approccio si avvantaggia in una restituita possibilità di orientare liberamente le proprie considerazioni alla luce di come l’opera è recepita rispetto alla correlazione con le altre e con la temporalità delle problematiche dell’oggi.

Ad un diverso racconto della realtà guarda proprio Stefano Arienti che, in ogni sua immagine, sceglie la via di una manipolazione intensa che trasforma quanto registrato inizialmente in una visione la cui memoria evoca a sé altre temporalità, altre sensibilità, altri sentimenti. Piegature, cancellature, distorsioni, cuciture sono azioni indirizzate a imprimere nell’oggettività dell’opera un senso inatteso che, riconosciuto ma sentito incompiuto, si termina con inespresse verità non prevedibili e preventivabili. Sentendole come vive, noi spettatori cogliamo quel senso di stupita meraviglia che torna ad essere strumento moltiplicatore e agente consegnatoci dall’artista per essere partecipi del processo, non concluso, innescato dalle sue opere.

Le germogliazioni nelle opere di Alberto De Braud paiono rendere monumento una Natura capace di diritto di rivalsa rispetto all’umano e di comparire là dove non è assolutamente attesa, rivoluzionando i suoi modi e i suoi tempi. Una grande poesia emerge dal modo in cui l’artista tratta le forme che, attraversando ere e epoche, paiono raccontare davanti a noi una porzione d’infinito, naturale e cosmico, che supera la precaria e fragile presenza umana. Una forte delicatezza sembra agire per contrasto e, smorzato il limite della frattura con il nostro agire-essere, esercita le facoltà di nuove metamorfosi in risposta ad un adattarsi non lineare alla realtà. Questi lacerti metafisici assottigliano le nostre fantasie e alleggeriscono la nostra immaginazione che adesso è pronta al riscontro con nuove possibili utopie.

La pittura dilatata di Giovanni Frangi porta il gesto agito col pennello a non estinguere mai il suo potenziale espressivo: il suo segno è forte e vibrante e traduce una caratterialità potente nell’esercizio di un linguaggio che in lui trova sempre modi e forme per rinnovarsi. La sua Natura, quindi, soggetto sempre presente nelle sue immagini, non può certo prescindere dall’attestare un’energia affermativa e strutturante, desiderosa di trascrivere e di riscrivere la visione di quanto appare nel mondo. Il colore non evoca, ma pronuncia, afferma con decisione. Poca differenza passa tra le ninfee e i greti sassosi perché la loro risonanza è per noi la medesima. La vibrazione viene dal loro appartenere al mondo delle cose naturali e la loro riconciliata differenza colma quella distanza che noi uomini sembriamo anteporre al nostro esistere. Qui il colore cerca il miracolo nel pacificare la dimensione antropica con quella naturale.

Marc Vincent Kalinka opera con una pluralità eclettica di mezzi e di tecniche per mettere attenzione sul senso di un’ambiguità che deve essere risolta. Con un’ironia, tra il tragico e il comico, l’artista promuove depistaggi, disorientamenti, sviamenti che hanno il compito di ribadire la centralità “operativa” e “interpretativa” dell’osservatore. Questo è sempre chiamato in causa a prendere una posizione, ad attuare una decisione con cui trovare la chiave di lettura delle sue proposte. Come in Stripes of Green in cui un susseguirsi ritmico e alternato di linee sono uno sbarramento visivo che impedisce di stabilire quale sia la realtà emergente: spazio industriale e foresta si susseguono lasciando in un tempo ancora tutto da chiarire quale sia la verità prevalente, anche in riferimento alla vessazione continua operata dall’uomo sulla Natura.

Posizioni più certe ce le suggerisce Camilla Marinoni il cui lavoro, partenendo dalla rivendicazione di un’identità femminile forte, sa aprirsi senza distinzioni a tutte le sensibilità umane. La sua vocazione artistica attua commistioni di storie di corpi visti come frammenti, residui di quello stesso tempo che li ha corrotti e sbiaditi al rango di memorie. Le cromie variabili, che il vino - altro elemento vivo e mutevole, di grande valore iconografico con cui colora - assume nel corso del tempo, promuovono ulteriormente i processi di trasformazione cui siamo tutti sottoposti. Nulla è mai certo, nulla resta immutabile, ma la vita, che ci è tanto cara, è qualcosa di effimero e passeggero. La Natura di cui ci parla Marinoni è quell’entità in-stabile che ci sottrae all’illusione di poter controllare il nostro stesso corpo, un “involucro”, come lei stessa lo definisce, che abitiamo ma in fondo non ci appartiene mai del tutto.

Il tema del paesaggio è centrale nella ricerca di Luca Pancrazzi, soggetto privilegiato che ha attraversato le diverse fasi della sua ricerca quarantennale. Il mondo che ci circonda vive nelle sue creazioni come metafora temporale, mutevole e diversa, ma sempre valida e plausibile. Le piccole sculture che troviamo qui sono esili reperti di panorami innervati nella nostra memoria. Sono paesaggi minuti la cui semplicità risoluta ci costringe a scavare nel tempo per comprenderne l’essenzialità e ricondurla a qualcosa di più personale e tangibile. Il processo che mette in atto l’artista consolida il rapporto che, prima che pubblico e collettivo, è intimo e personale tra l’uomo e quanto a lui sta attorno.

La mano di Paola Pezzi è stata sempre guidata da un interesse nel rilevare una matericità vitale che affiora da elementi che, pur non derivati necessariamente da una storiografia artistica e nemmeno da una specificità singolare, si associano tra loro a decretare nuove significazioni. Le sue forme diventano corpi affioranti, spazi di trasformazione continua che mutano il senso e l’orientamento delle cose. Gli equilibri naturali, che Pezzi sa rintracciare in modo acuto e attento, assorbono le più disparate potenzialità e, nel poco, nel minimo, nel ridotto, diventano allegoriche creazioni generative di quel che ancora non aveva avuto la possibilità di essere. I Reperti che ci propone sono una delle parti più viscerali del suo lavoro, capaci come sono di far risaltare la visceralità della terra, la cui purezza paiono trattenere e voler conservare a più duratura memoria.

 

Naturalismi è un progetto che muta pelle, che si rinnova pur nella coerenza dei principi fondanti e nei presupposti iniziali, perché ha un’anima potente nell’idea di dare risonanza ad un dialogo, al ritrovarsi attraverso incontri oltre l’occasione della circostanza. Segue il suo naturale processo rigenerativo, la cui ricchezza è proprio nel massimo grado di eterogeneità espressiva. Le ricerche, tra concettualità e astrazione, figurazione e minimalismo, atto performativo e fotografia, pittura e scultura, etc. riescono a trasfigurare definizioni e riscontri speculativi con un racconto che vive nella sua migrazione di senso in modo libero e sempre pronto a ridarsi nel tempo dei suoi nuovi scambi. 

 

Orari mostra:

sabato 10,00 - 12,30 / 15,00 - 19,00

altri giorni ed altri orari su appuntamento


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