A diverso titolo e secondo
i differenti accenti culturali, la Natura è stata parte importante della
riproduzione artistica e ha svolto un ruolo chiave in quei passaggi e in quelle
evoluzioni che, in certa misura, hanno mutato il corso della nostra storia
estetico-culturale: la luce di Caravaggio, le carni di Rembrandt, le nuvole di
Constable, i precipizi di Friederich, le montagna di Sainte-Victoire di Cézanne, le ninfee di
Monet, l’en plein air impressionista, i fiori di
Van Gogh, gli alberi di Mondrian, i paesaggi mediterranei di Klee, le pietre di
Long, le rose di Gina Pane, i cieli di Turrell, gli elementi di Goldsworthy, etc…
Sono solo alcuni esempi in
ordine sparso di un modo specifico, non retorico, di utilizzare la Natura per
definire il campo largo di un racconto che è capace di andare ben oltre il limite
dello sguardo. La ricerca dei naturalia qui è fondato su
un’esperienza che vuole allargare il campo per ogni possibile significazione diversa
da quella iniziale e vuole spaziare in un altrove che è parte di quel
principio di trasfigurazione – emotiva, empatia, fisica, immaginativa – che
passa, così, il proprio testimone dall’artista all’osservatore. Molti artisti,
quindi, ci permettono di non limitarci alla retorica del rappresentato,
perché attraverso le loro opere si impegnano fin da subito a fornire elementi
per rappresentare. Ciò che viene colto da taluni lavori è un qualcosa
che si modifica nell’essenza poiché è vivo e muta, in questo modo intercetta
inedite risonanze in chi non vede in essi solo un’immagine, ma coglie il senso
profondo di improbabili altre energie che affiorano dall’animo e si aprono a
convergenze dialoganti con gli orientamenti che si determinano di volta in
volta.
Sembra aver ben compreso
questa forza primaria legata al tema naturale Alberto De Braud che ha
voluto, nel nuovo capitolo del progetto Naturalismi che è stato avviato
dal 2018, riunire in un reciproco confrontarsi su queste tematiche, lasciate
sempre aperte e mai definite del tutto, una nuova compagine di interpreti i
quali, oltre allo stesso De Braud, vendono protagonisti Stefano Arienti,
Giovanni Frangi, Marc Vincent Kalinka, Camilla Marinoni, Luca Pancrazzi e Paola
Pezzi. Questi artisti, attraverso tecniche e linguaggi diversi e con un
lessico da ciascuno letto secondo una specificità personale, da sempre hanno
indirizzato il proprio sguardo alla rielaborazione, in modo processuale e
manipolativo, di materie e materiali, anche non necessariamente artistici, per
determinare una sorta di adattamento sensibile e visionario degli aspetti della
fisicità fino a portarli all’estrazione di essenze valoriali che non
possono fare a meno di passare attraverso la singola(re) ri-appropriazione
ultima agita e permessa dallo spettatore. Le loro opere sono gesti di cura
verso un’osservazione che stimola e favorisce la nostra intuizione e
restituisce un’interrogazione nell’essere risposta per memoria e ricordi
individuali. Non Natura, ma Nature, non Naturalismo, ma, appunto, Naturalismi
attraverso dialoghi circostanziati sull’universalità cui tutti apparteniamo e
cui prendiamo parte con il nostro esserci. Il confronto tra autori,
opere e osservatori sulle concessioni di idee differenti è nutrimento per
l’immaginazione, sempre però tenendo uno stretto contatto e una serrata
relazione con l’attualità: i princìpi derivanti da questo agire intellettuale
non possono prescindere mai, per tutti loro, dall’essere vincolati alle
necessità del presente della nostra collettività umana.
Le intenzioni di offrire
spunti ampi di riflessione, con un taglio politico, sociale, economico,
ecologico, non sono mai affrontate in modo dogmatico, anzi la libertà di
approccio si avvantaggia in una restituita possibilità di orientare liberamente
le proprie considerazioni alla luce di come l’opera è recepita rispetto alla
correlazione con le altre e con la temporalità delle problematiche dell’oggi.
Ad un diverso racconto
della realtà guarda proprio Stefano Arienti che, in ogni sua immagine, sceglie
la via di una manipolazione intensa che trasforma quanto registrato
inizialmente in una visione la cui memoria evoca a sé altre temporalità, altre
sensibilità, altri sentimenti. Piegature, cancellature, distorsioni, cuciture
sono azioni indirizzate a imprimere nell’oggettività dell’opera un senso
inatteso che, riconosciuto ma sentito incompiuto, si termina con inespresse
verità non prevedibili e preventivabili. Sentendole come vive, noi spettatori
cogliamo quel senso di stupita meraviglia che torna ad essere strumento
moltiplicatore e agente consegnatoci dall’artista per essere partecipi del
processo, non concluso, innescato dalle sue opere.
Le germogliazioni nelle
opere di Alberto De Braud paiono rendere monumento una Natura capace di diritto
di rivalsa rispetto all’umano e di comparire là dove non è assolutamente
attesa, rivoluzionando i suoi modi e i suoi tempi. Una grande poesia emerge dal
modo in cui l’artista tratta le forme che, attraversando ere e epoche, paiono
raccontare davanti a noi una porzione d’infinito, naturale e cosmico, che
supera la precaria e fragile presenza umana. Una forte delicatezza sembra agire
per contrasto e, smorzato il limite della frattura con il nostro agire-essere,
esercita le facoltà di nuove metamorfosi in risposta ad un adattarsi non
lineare alla realtà. Questi lacerti metafisici assottigliano le nostre fantasie
e alleggeriscono la nostra immaginazione che adesso è pronta al riscontro con
nuove possibili utopie.
La pittura dilatata di
Giovanni Frangi porta il gesto agito col pennello a non estinguere mai il suo
potenziale espressivo: il suo segno è forte e vibrante e traduce una
caratterialità potente nell’esercizio di un linguaggio che in lui trova sempre
modi e forme per rinnovarsi. La sua Natura, quindi, soggetto sempre presente
nelle sue immagini, non può certo prescindere dall’attestare un’energia
affermativa e strutturante, desiderosa di trascrivere e di riscrivere la
visione di quanto appare nel mondo. Il colore non evoca, ma pronuncia, afferma
con decisione. Poca differenza passa tra le ninfee e i greti sassosi perché la
loro risonanza è per noi la medesima. La vibrazione viene dal loro appartenere
al mondo delle cose naturali e la loro riconciliata differenza colma quella
distanza che noi uomini sembriamo anteporre al nostro esistere. Qui il colore
cerca il miracolo nel pacificare la dimensione antropica con quella naturale.
Marc Vincent Kalinka opera
con una pluralità eclettica di mezzi e di tecniche per mettere attenzione sul
senso di un’ambiguità che deve essere risolta. Con un’ironia, tra il tragico e
il comico, l’artista promuove depistaggi, disorientamenti, sviamenti che hanno
il compito di ribadire la centralità “operativa” e “interpretativa”
dell’osservatore. Questo è sempre chiamato in causa a prendere una posizione,
ad attuare una decisione con cui trovare la chiave di lettura delle sue
proposte. Come in Stripes of Green in cui un susseguirsi ritmico e
alternato di linee sono uno sbarramento visivo che impedisce di stabilire quale
sia la realtà emergente: spazio industriale e foresta si susseguono lasciando
in un tempo ancora tutto da chiarire quale sia la verità prevalente, anche in
riferimento alla vessazione continua operata dall’uomo sulla Natura.
Posizioni più certe ce le
suggerisce Camilla Marinoni il cui lavoro, partenendo dalla rivendicazione di
un’identità femminile forte, sa aprirsi senza distinzioni a tutte le
sensibilità umane. La sua vocazione artistica attua commistioni di storie di
corpi visti come frammenti, residui di quello stesso tempo che li ha corrotti e
sbiaditi al rango di memorie. Le cromie variabili, che il vino - altro elemento
vivo e mutevole, di grande valore iconografico con cui colora - assume nel
corso del tempo, promuovono ulteriormente i processi di trasformazione cui
siamo tutti sottoposti. Nulla è mai certo, nulla resta immutabile, ma la vita,
che ci è tanto cara, è qualcosa di effimero e passeggero. La Natura di cui ci
parla Marinoni è quell’entità in-stabile che ci sottrae all’illusione di poter
controllare il nostro stesso corpo, un “involucro”, come lei stessa lo
definisce, che abitiamo ma in fondo non ci appartiene mai del tutto.
Il tema del paesaggio è
centrale nella ricerca di Luca Pancrazzi, soggetto privilegiato che ha
attraversato le diverse fasi della sua ricerca quarantennale. Il mondo che ci
circonda vive nelle sue creazioni come metafora temporale, mutevole e diversa,
ma sempre valida e plausibile. Le piccole sculture che troviamo qui sono esili
reperti di panorami innervati nella nostra memoria. Sono paesaggi minuti
la cui semplicità risoluta ci costringe a scavare nel tempo per comprenderne
l’essenzialità e ricondurla a qualcosa di più personale e tangibile. Il
processo che mette in atto l’artista consolida il rapporto che, prima che
pubblico e collettivo, è intimo e personale tra l’uomo e quanto a lui sta
attorno.
La mano di Paola Pezzi è
stata sempre guidata da un interesse nel rilevare una matericità vitale che
affiora da elementi che, pur non derivati necessariamente da una storiografia
artistica e nemmeno da una specificità singolare, si associano tra loro a
decretare nuove significazioni. Le sue forme diventano corpi affioranti, spazi
di trasformazione continua che mutano il senso e l’orientamento delle cose. Gli
equilibri naturali, che Pezzi sa rintracciare in modo acuto e attento,
assorbono le più disparate potenzialità e, nel poco, nel minimo, nel ridotto,
diventano allegoriche creazioni generative di quel che ancora non aveva avuto
la possibilità di essere. I Reperti che ci propone sono una delle parti
più viscerali del suo lavoro, capaci come sono di far risaltare la visceralità
della terra, la cui purezza paiono trattenere e voler conservare a più duratura
memoria.
Naturalismi è un progetto che muta
pelle, che si rinnova pur nella coerenza dei principi fondanti e nei
presupposti iniziali, perché ha un’anima potente nell’idea di dare risonanza ad
un dialogo, al ritrovarsi attraverso incontri oltre l’occasione della
circostanza. Segue il suo naturale processo rigenerativo, la cui
ricchezza è proprio nel massimo grado di eterogeneità espressiva. Le ricerche,
tra concettualità e astrazione, figurazione e minimalismo, atto performativo e
fotografia, pittura e scultura, etc. riescono a trasfigurare definizioni e
riscontri speculativi con un racconto che vive nella sua migrazione di senso in
modo libero e sempre pronto a ridarsi nel tempo dei suoi nuovi scambi.
Orari
mostra:
sabato
10,00 - 12,30 / 15,00 - 19,00
altri
giorni ed altri orari su appuntamento
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